Il giorno del ricordo

Dopo la parentesi magica di ieri, oggi sono tornata alla “dura realtà”: è un giorno triste per la mia famiglia, ma non voglio soffermarmi, desidero invece ricordare che il 10 febbraio si celebra in Italia “Il Giorno del Ricordo” in memoria delle foibe e dell´esodo giuliano-dalmata.
Le foibe, come è noto, sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo.
È in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 sono stati gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani.

Propria questa mattina sono partiti diversi studenti che visiteranno la foiba di Basovizza, dove. secondo la versione accettata dalla quasi totalità degli storici e da tutti i rappresentanti delle istituzioni politiche italiane, nel maggio 1945 venne occultato un numero imprecisato di cadaveri di prigionieri, militari e civili, trucidati dall’esercito e dai partigiani jugoslavi.

Basovizza

Visiteranno poi la risiera di San Sabba, unico campo di sterminio nazifascista in Italia

Risiera di Sansabba

e infine si recheranno al Sacrario di Redipuglia che ricorda gli eroi della prima guerra mondiale.

Sacrario di Redipuglia

Interessante e intelligente dal punto di vista didattico, storico e umano, questa iniziativa, perché fa rivivere agli allievi tre momenti diversissimi ma accumunati da un solo concetto espresso mirabilmente nel quadro di Francisco Goya nel lontano 1797: “El sueño de la razón produce monstruos”, “Il sonno della ragione genera mostri”

Il sonno della ragione genera mostri

A questo proposito desidero (tristemente) ricordare il romanzo “1984” del grande scrittore George Orwell che immagina la Terra suddivisa in tre grandi potenze totalitarie perennemente in guerra tra loro: Oceania, Eurasia ed Estasia che sfruttano la guerra perenne per mantenere il controllo totale sulla società. Terribile il punto dove enumera i tre slogan scritti sulla facciata del “Ministero della Verità”:

“la guerra è pace/ la libertà è schiavitù/l’ignoranza è forza”

Qualsiasi commento non può che esprimere il rifiuto di ogni totalitarismo
Ma torniamo all’argomento principale di questo articolo, ricordando che nel febbraio del 1947 (proprio il 10 febbraio) venne firmato il trattato di pace secondo il quale l’Istria e la Dalmazia furono cedute alla Jugoslavia.
350.000 persone si rifugiano in Italia: non avevano nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza. La sinistra italiana li ignorava: non solidarizzava quasi per nulla con chi stava fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS,
Lo storico e giornalista Giovanni Sabbatucci ci ricorda che non era solo il PCI a disinteressarsi di questi rifugiati: la stessa classe dirigente democristiana considerava i profughi dalmati “cittadini di serie B”, e non approfondiva la tragedia delle foibe. I neofascisti, d’altra parte, non si mostravano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della seconda guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre furono sottoposte all’occupazione nazista, in pratica annesse al Reich tedesco.
Il prof. Sabbatucci continua affermando che per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica ha avvolto la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane. È una ferita ancora aperta “perché è stata ignorata per molto tempo”.
A questo punto desidero riportare alcuni stralci di un dossier di Enzo Collotti, docente di Storia Contemporanea all’Università di Firenze, uno dei più importanti storici della Resistenza in Europa.
(…) I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a ricordare lo smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al regno d’Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti! (…) Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli impiccati di via Ghega?
Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell’arco di un ventennio con l’esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell’odio, delle foibe, dell’esodo dall’Istria.
(…) Da sempre nella lotta politica, soprattutto a Trieste e dintorni, il Movimento sociale (Msi) un tempo e i suoi eredi oggi usano e strumentalizzano il dramma delle foibe e dell’esodo per rinfocolare l’odio antislavo; rintuzzare questo approccio può sembrare oggi una battaglia di retroguardia, ma in realtà è l’unico modo serio per non fare retrocedere i modi e il linguaggio stesso della politica agli anni peggiori dello scontro nazionalistico e della guerra fredda.
(…) La storia della società italiana dopo il fascismo non è fatta soltanto del silenzio (vero o supposto) sulle foibe, è fatta di molti silenzi e di molte rimozioni. Soltanto uno sforzo di riflessione complessivo, mentre tutti si riempiono la bocca d’Europa, potrà farci uscire dal nostro nazionalismo e dal nostro esasperato provincialismo.

Nell’ articolo sul Giorno della Memoria ricordavo che la Shoah non va confrontata con altri genocidi perché è un avvenimento unico che affonda le radici su un turpe razzismo della cosiddetta razza ariana su ebrei, zingari, omosessuali etc.
Il dramma delle foibe si inserisce invece, come afferma il citato docente, in un ampio contesto che alla fine ha provocato un odio atroce che ha portato come conseguenza, a simili misfatti

Nell’anniversario 10 febbraio 2007 il nostro presidente della Repubblica ebbe a pronunciare le seguenti parole:

(…) Da un certo numero di anni a questa parte si sono intensificate le ricerche e le riflessioni degli storici sulle vicende cui è dedicato il “Giorno del Ricordo” : e si deve certamente farne tesoro per diffondere una memoria che ha già rischiato di esser cancellata, per trasmetterla alle generazioni più giovani, nello spirito della stessa legge del 2004 (con la quale fu istituito il giorno del ricordo, n.d.r) . Così, si è scritto, in uno sforzo di analisi più distaccata, che già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”.
Quel che si può dire di certo è che si consumò – nel modo più evidente con la disumana ferocia delle foibe – una delle barbarie del secolo scorso. Perché nel Novecento – l’ho ricordato proprio qui in altra, storica e pesante ricorrenza (il “Giorno della Shoah”) – si intrecciarono in Europa cultura e barbarie. E non bisogna mai smarrire consapevolezza di ciò nel valorizzare i tratti più nobili della nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo da oltre cinquant’anni costruendo. E’ un’Europa nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espressosi nella guerra fascista a quello espressosi nell’ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia, un’Europa che esclude naturalmente anche ogni revanscismo..
(…) Oggi che in Italia abbiamo posto fine a un non giustificabile silenzio, e che siamo impegnati in Europa a riconoscere nella Slovenia un amichevole partner e nella Croazia un nuovo candidato all’ingresso nell’Unione, dobbiamo tuttavia ripetere con forza che dovunque, in seno al popolo italiano come nei rapporti tra i popoli, parte della riconciliazione, che fermamente vogliamo, è la verità. E quello del “Giorno del Ricordo” è precisamente, cari amici, un solenne impegno di ristabilimento della verità

Subito dopo, il presidente Croato Mesic si disse “spiacevolmente sorpreso” dal “contenuto e dal tono” delle ultime affermazioni da parte della leadership dello Stato italiano sia sul passato che sulle attuali relazioni fra Italia e Croazia”.
Mesic si è riferito alla frase che Napolitano ha pronunciato al Quirinale quando, consegnando diplomi e medaglie agli eredi delle vittime delle foibe, ha collegato quelle vicende con il “moto di odio e di furia sanguinaria” e con il “disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”. (…)

A tale reazione si è riferito oggi il Presidente Napolitano nel suo discorso pronunciato al Quirinale.
Tra l’altro ha affermato che sulle foibe e sulla tragedia degli italiani in Istria è finito il tempo dell’oblio
“Siamo qui per rinnovare anche quest’anno l’impegno comune del ricordo, della vicinanza, della solidarietà – ha detto Napolitano – contro l’oblio, contro forme di rimozione diplomatica che hanno pesato in passato e causato tante sofferenze”.
Quindi ha sottolineato che c’è una “piena continuità” tra il suo intervento di oggi e quello degli anni passati quando “ho voluto dire determinate cose, “Fin dall’inizio del mio settennato, anche di fronte a reazioni spiacevoli e ingiustificate fuori dall’Italia alle mie parole che erano rispettose di tutti”.
Napolitano ha sottolineato che l’Italia è “con quanti vissero la tragedia della guerra, delle foibe, dell’esodo, siamo accanto a loro e ai loro familiari, accanto alle famiglie delle vittime innocenti di orribili persecuzioni e massacri.” Non si tratta solo di parole, ha detto il Presidente, “il nostro è un impegno di vicinanza anche per la soluzione dei problemi ancora aperti e sicuramente all’attenzione del Governo nel rapporto con le nuove istituzioni e autorità slovene e croate”. “Si tratta – ha concluso Napolitano – di memoria da coltivare tutte in vista del centocinquantenario dell’Italia unita e di un rinnovato impegno a costruire quell’Europa sempre più rappresentativa delle sue molteplici tradizioni e sempre più saldamente integrata di cui c’è bisogno nel mondo globalizzato di oggi e di domani”.

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